Sono una creativa silenziosa e prima di essere designer dei materiali e dei colori, sono ospite di questo meraviglioso mondo immerso dentro a giochi di ruolo e stranezze infinite.
Mi sono laureata al Politecnico di Milano in disegno Industriale e per la tesi presentata direi che si è laureato pure mio fratello che progettò insieme a me, costruendone pazientemente il prototipo funzionante, un attrezzo ginnico per gli astronauti dell’ ESA in missione, da ancorare ed usare dentro la loro Stazione Spaziale Internazionale.
Da quel progetto, tanti altri progetti ed esperienze di vita professionale e personale, percorrendo tantissime strade, inseguendo tanti sogni, viaggiando per il mondo e conoscendo tante culture.
Continuo silenziosamente ad ascoltare e ad osservare ciò che mi si presenta sotto qualsiasi forma, animale – umana o spirituale, ovunque io mi trovi, per trasformarla da sensazione emotiva personale in esperienza digitale attraverso l’uso dei colori, dei materiali del luogo e tutte le sensazioni tattili che questi offrono.
Me lo dicevano già allora che vivevo “nel mio mondo” ed io dicevo sorridendo, in silenzio e per tutta risposta, che anche loro appartenevano “al mio mondo”!
Questo mondo è di tutti ed è proprio per come lo viviamo singolarmente che facciamo di esso un concentrato di idee, tutte da sfogliare, da leggere, da interpretare come un romanzo scritto per far si che quelle idee vengano poi trasformate in progetti concreti, andando a muovere miliardi infinite di particelle.
“Quel progetto era un attrezzo ginnico, forte, flessibile ma ancora pesante che doveva permettere agli astronauti di allenarsi in gravità ridotta.”
Ci sono voluti 2 anni per presentarlo, tanta ricerca e tante scintille.
Correva l’anno 2003, ero giovane, con tantissime aspettative e tanta voglia di affrontare tutti i rischi che quel progetto avrebbe presentato oggi, dopo 80 anni!
Che buffo pensare alla progettazione di quegli anni: eh, si! Perchè nel 2003, ma fino al lontanto 2040, si progettava al contrario di oggi, ora posso dirlo:
1 la prima fase progettuale era quella di capire il materiale adatto da usare per non pesare sull’intero bagaglio da spedire nello spazio al momento del lancio perché doveva sposare ancora le leggi della fisica e della meccanica più tradizionale degli anni 2020, l’anno che immobilizzò il mondo da una feroce pandemia.
Lo ricordo bene quell’anno ma soprattutto quelli a seguire dove l’unica soluzione per sopravvivere fu quella di lanciare nello spazio gli ultimi sopravvissuti per poi farli tornare a terra 20 anni dopo.
2 La seconda fase progettuale non scindibile dalla prima era quella di pensare alla percezione dei materiali da selezionare e di conseguenza alla loro tattilità e alla loro cromia per un ambiente dove tutto veniva annullato dalla legge della gravità Zero.
Fase difficile ma non impossibile.
3 E la terza, un’incognita per allora, una quasi soluzione oggi a distanza di 85 anni, la consapevolezza del concetto e della spazialità fisica e digitale della Privacy degli astronauti in missione, oggi persone comuni che hanno scelto di viaggiare in autonomia verso mondi lontani.
Nel 2005 come nel 2020 parlavamo ancora di materiali speciali e leggeri come la fibra di carbonio, ci fu il boom dei tessuti intelligenti, che a causa della pandemia causata dal COVID-19, non furono prontamente e sufficientemente utilizzati dalle aziende che si trovarono sopraffatte dalle numerose richieste.
Molti, infatti, rimasero scoperti dalle protezioni, altri protetti e salvati, specialmente i bambini, oramai nativi digitali che gestivano quei tessuti intelligenti con estrema facilità insegnando agli adulti impacciati di fronte alla regolazione termica e antibatterica vocale della propria tuta, come attivarla e regolarla in fase di contatto sociale.
Si parlava di smart textile e di nanotecnologie del tessuto, di tessuti integrati a tessuti elettrici, sensori, fibre ottiche o LED in grado di captare e reagire a impulsi e condizioni ambientali esterne.
Erano tessuti intelligenti che dialogavano con la persona in forma oramai, oggi, obsoleta e quasi scomparsa: erano delle App, applicazioni software dedicate a quei vecchi dispositivi chiamati Smartphone….che dovrei averne ancora una decina conservati nella parete della cucina come una “nerd accumulatrice seriale” (dice mio nipote).
Esistevano magnifici tessuti intelligenti che si asciugavano immediatamente dal sudore, tessuti curativi in grado di tenere sotto controllo ciò che succedeva nell’organismo di chi li indossava, tessuti antiallergici, antistress, termoregolatori con cambio cromatico a seconda della luminosità dell’ambiente.
E ancora, tessuti che proteggevano dalle radiazioni ultraviolette e fibre termoplastiche che permettevano di modificare l’aspetto dell’indumento creando pieghette, arricciature, bellissime plissettature.
Esistevano anche tessuti che, grazie ad un nano filo ed un kit di pile, premendo un interruttore facevano cambiare l’indumento adattandolo all’occasione.
Tra tanti tessuti intelligenti, nessuno, fino a pochi anni fa, si preoccupò di proteggere la persona dagli stessi materiali, detentori di numerosissime informazioni personali specialmente a ciclo finito.
La Guerra dei Mondi all’epoca del GDPR: “La Privacy dei materiali nel 2090/ parte 1”
A dicembre, la seconda parte: “Progetto Textile Cocoon e la privacy dell’individuo 2090“