Ultimamente i dispositivi elettronici fanno cose di nascosto, e tutti noi ne subiamo le conseguenze. Il tema, attualissimo, riguarda sempre la fame di dati, informazioni, notizie sulle nostre esigenze, sui desideri, sulle preferenze, sugli interessi. E i nostri strumenti sembrano anticipare i nostri pensieri.
Ma cosa sta succedendo?
Qualche anno fa fece scalpore il riconoscimento facciale nei luoghi pubblici per scopi di marketing: caso emblematico è stato quello dei digital signage installati da Grandi Stazioni Retail S.p.A. nelle maggiori stazioni italiane, dove le colonnine trasmettevano messaggi pubblicitari mentre i sensori raccoglievano dati di audience per valutare l’efficacia delle comunicazioni trasmesse. Ora la raccolta di informazioni e dati si è evoluta, andando di pari passo con il consumo tecnologico in continua ascesa a discapito della tutela delle persone.
L’ultimo caso riguarda i microfoni degli smartphone che ascolterebbero le conversazioni dei possessori.
Leggenda metropolitana? Realtà preoccupante?
Intanto l’Autorità Garante ha avviato un’indagine, e già questo fa temere che i timori siano più fondati di quanto vorremmo.
Lo spunto viene dall’ipotesi che alcune App che vengono scaricate sugli smartphone, richiedano in modo non proprio trasparente, in fase di download e avvio, l’autorizzazione all’utilizzo del microfono. Una volta accettata la funzionalità i microfoni rimarrebbero costantemente accesi, dunque in grado di ascoltare qualsiasi conversazione e raccogliendo informazioni vendute a società specializzate nel fornire proposte commerciali mirate.
È stato evidenziato come, parlando di un argomento con lo smartphone vicino, e probabilmente in ascolto, comporti l’avvio di messaggi pubblicitari e di e-commerce mirati, addirittura infiltrati mentre leggiamo le news o visitiamo il profilo social di un amico.
Se il tutto troverà conferma dall’indagine avviata dal Garante in collaborazione con il Nucleo speciale privacy e frodi tecnologiche della Guardia di Finanza, la sola base legale per legittimare questo tipo di attività sarà un consenso, che per essere valido, come indicato all’Art.4 del Regolamento UE 2016/679 – GDPR, deve essere una manifestazione di volontà libera, specifica, informata e inequivocabile dell’interessato.
Ma ogni consenso, prevede la revoca, – Art.7 GDPR, che deve avvenire con le medesime modalità con le quali il consenso è stato raccolto.
Troppo spesso si dimentica che, anche parlando di trattamento dei nostri dati, abbiamo il diritto di cambiare idea, anche perché una volta che il consenso è stato raccolto, la revoca troppo spesso è resa complicata e difficile da comunicare.
I suggerimenti per limitare incursioni indesiderate nelle nostre vite, nelle more dell’istruttoria in corso, sono semplici: limitare il numero di App scaricate e consentire le varie funzionalità solo quando servono effettivamente, ma soprattutto leggere, evitando il ‘tap’ inconsapevole, concesso di fretta, senza avere esattamente capito cosa si consente di fare a chi, perché uscirne e liberarsi delle conseguenze di quel ‘tap’ non è detto che sia semplice, pur se dovrebbe.